L’orologio con c
arica
automatica, a grandi linee, funziona secondo gli stessi princìpi del
carica manuale, con la differenza che la molla viene "armata" dai
movimenti del polso di chi indossa l'orologio: il movimento automatico è
fornito di un rotore che, girando attorno al proprio asse (quasi sempre
posto al centro dell'orologio), fa girare tramite ruotismi anche il
bariletto di carica. Dopo diverse ore d'uso normalmente un buon
automatismo di ricarica raggiunge il suo massimo e garantisce mediamente
da 35 a 50 ore di funzionamento (salvo eccezioni, come ad esempio il
calibro 5000 di IWC: sette giorni di riserva!). Di conseguenza,
l'orologio per la maggior parte del suo utilizzo giornaliero rimane
sempre al massimo della sua carica, e per evitare tensioni di
sovraccarica la sua molla, a brida scorrevole, scivola sul bordo del
bariletto quando raggiunge l'acme, evitando la rottura. Il rotore può
variare leggermente di forma da orologio ad orologio (più che altro
quanto alle decorazioni), e di materiale: di acciaio nei modelli di
fascia media, diventa d'oro in quelli top con un duplice risultato, di
immagine e tecnico: l'oro è tres chic ma soprattutto ha un peso
specifico maggiore dell'acciaio e ciò consente una migliore performance
di carica. Non va dimenticata poi la soluzione di Jaeger, che adotta
anche rotori di acciaio con la parte periferica in oro, che aumenta il
gioco dell'inerzia. Esitono rotori standard ma anche micro rotori
decentrati, che alloggiano all'interno del movimento senza sovrastarlo,
permettendo così casse più sottili. Ma una distinzione più interessante è
tra rotori che ricaricano da entrambi i lati di oscillazione ed altri
che caricano solo da una parte: le case che adottano le due diverse
soluzioni lo fanno nel nome dello stesso principio, convinte cioè che
quello da loro scelto sia il sistema più efficace: ciò vale ad esempio
per la Jaeger con i suoi rotori monodirezionali e per IWC con il suo
movimento Pellaton a ricarica bidirezionale. Ma chi ha ragione? Come
diceva il poeta: "Ai posteri l'ardua sentenza…
